
Circa 170 milioni di persone nel mondo vivono con degenerazione maculare legata all’età, che colpisce un over-55enne su 10, mentre 1,7 milioni di persone nel mondo soffrono della più diffusa forma di cecità ereditaria, la retinite pigmentosa, che tipicamente porta alla cecità intorno ai 40 anni. “Questo studio è potenzialmente rivoluzionario per tutti questi pazienti – spiega Andrea Cusumano dell’Università di Tor Vergata – perché potrebbe consentire di ripristinare una certa funzionalità retinica in modo semplice, con un solo gene. Gli autori hanno anche scoperto che la molecola prodotta da questo gene, una volta nelle cellule retiniche, si adatta a diverse condizioni di luce nell’ambiente” proteggendo l’occhio dell’animale da danni.
Gli esperti Usa non hanno fatto altro che inserire il gene per una proteina fotosensibile (un’opsina) nel Dna delle cellule gangliari, quelle che partecipano alla formazione del nervo ottico. Queste cellule sono normalmente deputate a raccogliere i segnali delle cellule fotosensibili (fotorecettori), quelle che degenerano nella maculopatia e nella retinite pigmentosa.
In sostanza gli scienziati con una sola iniezione del gene che, veicolato da un vettore virale, penetra nelle cellule gangliari, hanno reso queste ultime fotosensibili. I topolini sono tornati a vedere nell’arco di un mese dall’iniezione con un’acuità visiva che permette loro di muoversi in territori difficili. Poiché altre forme di terapia genica sono state già approvate dall’FDA e utilizzabili nella pratica clinica per malattie retiniche ereditarie, questo nuovo approccio potrebbe essere approvato per uso clinico sperimentale entro tre anni con prospettive ad oggi ancora inimmaginabili, conclude Cusumano.
